L'emblema della Repubblica Italiana



Con il decreto legislativo del 5 maggio 1948, n. 535, dopo un complesso iter prolungatosi per oltre venti mesi, veniva finalmente adottato l’emblema ufficiale della Repubblica Italiana.
Quasi due anni prima, il 27 ottobre 1946, in esecuzione di un decreto legislativo presidenziale del 19 giugno precedente, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi aveva infatti nominato una specifica Commissione, incaricata di «studiare l’emblema della Repubblica». Il successivo 5 novembre la Commissione (presieduta da Ivanoe Bonomi e della quale facevano parte, tra gli altri, il celebre storico dell’arte Pietro Toesca e lo scultore Duilio Cambellotti) emanò il bando per il concorso. Agli artisti fu raccomandato di proporre simboli semplici e facilmente intellegibili, svincolati da qualsiasi riferimento a singoli partiti politici. Si decise anche di «introdurre tra i simboli la stella d’Italia, escludendo le personificazioni allegoriche e traendo ispirazione dal senso della terra e dei comuni».
I risultati del concorso apparvero presto deludenti: i disegni presentati furono 637, opera di 341 concorrenti, ma nessuno di essi sembrò soddisfare le aspettative.



Fig. 1. Paolo Paschetto, autore dell’emblema della Repubblica Italiana, fotografato nel suo studio. Nato a Torre Pellice nel 1885, vi morì nel 1963. Fu pittore, silografo e professore di liceo artistico a Roma.


Fig. 2. Il primo bozzetto a colori di Paolo Paschetto
approvato dalla Commissione per l’emblema.


Fig. 3. Il bozzetto finale, scelto in via definitiva
 come emblema della Repubblica.


Fig. 4. Stendardo presidenziale italiano in uso,
con piccole varianti, dal 1965 al 1990 e dal 1992 al 2000.


La Commissione non si diede per vinta e selezionò un ristrettissimo gruppo di artisti (cinque) al quale decise di affidare lo sviluppo di un preciso tema grafico, stabilito il 14 dicembre: l’elemento principale avrebbe dovuto essere una «cinta turrita con porta aperta che abbia forma di corona, ma apparenza anche di nobile edificio», completata dalla «figurazione del mare», da una «stella raggiante di cinque punte» ed eventualmente dal motto UNITÀ, LIBERTÀ. Ai partecipanti venne pure suggerita l’opportunità di «non trascurare le norme del Regolamento tecnico-araldico».
La Commissione scelse, nella seduta del 13 gennaio 1947, uno dei tre bozzetti presentati da Paolo Paschetto (Fig. 1). Nei giorni successivi vennero via via fornite all’artista altre minuziose indicazioni (riguardanti per esempio le precise tonalità dei colori) fino a che si pervenne al definitivo disegno, così descritto: «Campo di cielo alla corona di otto torri, al naturale, accompagnata in capo dalla stella d’Italia, raggiante, d’oro, e in punta dal mare ondoso. Il tutto incorniciato da due rami d’olivo con le scritte in basso (sinistra) Libertà (destra) Unità» (Fig. 2). Ogni elemento ebbe il suo preciso significato: l’olivo sottolineava la volontà di pace del popolo italiano mentre la cinta turrita ne doveva rappresentare la forza di resistenza e la dignità. La stella, infine, fu indice di «speranza nella nostra Resurrezione».
Nonostante gli sforzi compiuti, il bozzetto, esaminato dall’Assemblea Costituente quasi un anno dopo, nella seduta del 19 gennaio 1948, non venne ritenuto soddisfacente e si procedette dunque alla istituzione di una nuova Commissione e al bando di un secondo concorso, questa volta a «tema libero». Nel fulmineo volgere di una settimana giunsero 197 bozzetti, inviati da 96 artisti. La Commissione scelse, ancora una volta e all’unanimità, uno dei disegni presentati da Paolo Paschetto. Si trattava di una grande stella accollata ad una ruota dentata e posta tra due rami di olivo e di quercia. Il 31 gennaio l’emblema – con qualche modifica cromatica e non senza accesissime discussioni – fu definitivamente approvato dall’Assemblea Costituente (Fig. 3).
Il 5 maggio successivo fu promulgato il decreto ufficiale di adozione (pubblicato, insieme al disegno, sulla «Gazzetta Ufficiale» del 28 maggio), che descrisse così lo stemma: «L’emblema dello Stato, approvato dall’Assemblea Costituente con deliberazione del 31 gennaio 1948, è composto di una stella a cinque raggi di bianco, bordata di rosso, accollata agli assi di una ruota dentata, tra due rami di olivo e di quercia, legati da un nastro rosso, con la scritta di bianco in carattere capitale ‘Repubblica Italiana’».
Mancando lo scudo – attributo indispensabile dello stemma araldico vero e proprio – si parlò dunque di «emblema», termine tuttavia usato fin dall’inizio e dettato forse dal clima antimonarchico e antinobiliare (e in un certo senso – per erroneo riflesso – anche antiaraldico). Anche la descrizione ufficiale, che non è una blasonatura araldica (è lecito parlare di una stella «di bianco»?) sembra risentire della medesima situazione.
Come ha acutamente osservato il de Lászloczky, «il motivo della stella» pur se variamente e da ogni parte contestato in tutti questi anni, «rappresenta una certa continuità con il passato». La stella a cinque punte fece infatti la sua prima comparsa nel 1870, quando fu posta (capovolta) sul colmo del padiglione nello stemma dell’Italia unita.
Il nuovo emblema, che costituì subito anche il sigillo di Stato, non era destinato ad apparire sulla bandiera nazionale: nel 1965 esso fu invece posto (non a colori ma completamente in oro) sul nuovo stendardo del Presidente della Repubblica (Fig. 4) e in séguito, prima in azzurro poi a colori, sulle insegne distintive di diverse cariche dello Stato.
Ultimo atto nella storia del nostro stemma fu il nuovo concorso bandito nel 1987 (a titolo sperimentale) per «l’innovazione dell’emblema della repubblica». I disegni inviati furono a dir poco deludenti e l’idea di cambiare il simbolo nazionale fu temporaneamente accantonata. (Testo adattato da «Vexilla Italica»)

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